Quasi la totalità degli studenti è interessata all’apprendimento elettronico
Più scettici, invece, i professori. Ma su tutti incombe il problema finanziamenti
Se il computer si trasforma in un prof
due atenei su tre offrono corsi online
Inoltre, 35 atenei su 52 offrono corsi interamente in lingua inglese
di DANIELE SEMERARO
ROMA – Fare lezione su internet con professori virtuali? Non stiamo parlando dell’università del futuro, ma di quella attuale: l’”e-learning”, così si chiama l’apprendimento telematico a distanza, è infatti presente in due università su tre, con un aumento esponenziale a partire dal 2002. Piace molto agli studenti (90,2%) e un po’ meno ai docenti (21,1%) ed è destinato a diventare un “attributo immancabile dell’intera offerta formativa dell’istruzione superiore”. Lo rivela una ricerca della Crui, la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, che ha preso in considerazione il caso di Italia, Finlandia e Francia.
Paesi a confronto. Dalla ricerca emerge che lo sviluppo dell’e-learning, cioè l’utilizzo degli strumenti delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione nel mondo dell’istruzione, è frenato dalla mancanza di fondi e dalla diffidenza del corpo docente. Problemi, quelli legati ai finanziamenti, che segnano la differenza con gli altri due paesi europei, anche se bisogna tener presente che da sola la “Sapienza” di Roma ha un numero di iscritti di poco inferiore a tutti gli studenti delle 21 università finlandesi.
“Fra i tre Paesi a confronto – si legge nella ricerca – appare evidente una differente sensibilità politica delle istituzioni governative nei confronti delle politiche di finanziamento dell’e-learning in ambito universitario. Infatti, in Francia e Finlandia il sistema di istruzione terziaria beneficia di stanziamenti pubblici espressamente destinati alla promozione dell’e-learning nelle università, contrariamente a quanto avviene in Italia, dove il ministero dell’Istruzione non ha, finora, previsto fondi da destinare agli atenei per questo specifico scopo”.
La situazione italiana. Secondo l’indagine, il 64% degli atenei italiani interpellati ha affermato di avere una “politica per l’e-learning”, presupposto fondamentale “per sviluppare un approccio in materia condotto a livello unitario e non più relegato alle singole esperienze intra-ateneo”. Il che porta a un “coordinamento generale volto alla razionalizzazione delle attività degli atenei”. Negli ultimi anni, prosegue la ricerca, si è avuto un “rapido diffondersi delle esperienze di coordinamento delle attività di e-learning”, che hanno segnato un forte incremento della presa di coscienza del mondo universitario nei confornti delle nuove opportunità di sviluppo della didattica.
Questa tendenza, che solo a partire dal 2000 ha preso forma in modo consistente, “presenta una netta accelerazione tra gli anni 2002 e 2004, durante i quali il numero di università che hanno inaugurato l’avvio di una politica di ateneo per l’e-learning si è accresciuto quasi del 100%”. Certo, non dobbiamo dimenticare che il nostro Paese corre “a due velocità”: la maggior parte degli atenei più dinamici sotto il profilo dell’e-learning si trovano al Nord (con il Nordest all’84,6% e il Nordovest al 72,7%), mentre appaiono più attardate su questo fronte le università del Centro (50%) e del Sud (52,9%).
I problemi. Considerando i “costi non indifferenti” dell’implementazione del sistema, uno dei problemi principali è quello della inadeguatezza delle risorse finanziarie, che incide per il 47,2% del campione. Al primo posto, però, figura l’accettazione culturale, che interessa il 66,7% dei casi. Indagando, inoltre, sui timori che più frequentemente preoccupano la parte scettica del personale accademico, emerge in particolare una lettura critica concentrata sui rischi di un potenziale ribaltamento di ruoli tra pedagogia e tecnologia. La tecnologia “che andrebbe correttamente concepita al servizio della prima, rischia, negli scenari dipinti dai più diffidenti, di sopravanzare con i propri imperativi le teorie dell’apprendimento, che si vedrebbero pericolosamente collocate in posizione subalterna, con conseguenti ricadute di impoverimento qualitativo dell’offerta formativa”.
In Italia, si legge ancora nella ricerca, il processo di diffusione dell’e-learning è avvenuto in assenza di significativi interventi normativi e di supporto finanziario. Le università che hanno sviluppato questo tipo di esperienze hanno autonomamente scelto di destinare parte del budget a tali attività.
La diffusione dell’Inglese. E intanto sempre dalle ricerche della Crui emerge che 35 atenei italiani offrono agli studenti corsi totalmente in lingua inglese: in testa i master, seguono poi i dottorati di ricerca e i corsi di secondo ciclo. Dei 52 atenei che hanno aderito all’offerta (che rappresentano il 67,5% del totale nazionale), 17 non erogano corsi in Inglese (ma è possibile che, in futuro, organizzino una parte della didattica in questo senso), 35 offrono almeno un corso interamente in Inglese (7 di primo ciclo, 11 di secondo ciclo, 19 di dottorato, 21 master, 18 summer-winter school).
(5 giugno 2006)
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