Il programma per gli universitari ha già portato in giro per la Ue oltre un milione e mezzo di studenti, fino a ispirare film e racconti. Oggi il via alle celebrazioni. Leggi su Repubblica.it l’inchiesta di Federico Pace. Di seguito il mio approfondimento sulle storie degli studenti.
Tra esperienze indimenticabili e problemi pratici della vita di tutti i giorni
Una delle prime borsiste: “Sono passati 19 anni, mi sembra ancora ieri”
Gli studenti Erasmus raccontano
“Un viaggio che apre la mente”
Le tante storie dall’Europa. E c’è chi, per caso, è finito a lavorare nell’ufficio di Napolitano
di DANIELE SEMERARO
ROMA – Lasciare famiglie e amici, conoscere coetanei di tanti paesi, affrontare situazioni difficili in una terra straniera, vivere esperienze indimenticabili. Tutto questo è l’Erasmus e tutto questo l’hanno vissuto, dal 1987, anno di nascita del programma, circa un milione e mezzo di studenti in tutta l’Unione Europea. Un progetto che all’inizio riguardava poche persone, ma che poi negli anni Novanta, e soprattutto dopo il boom del film “L’appartamento spagnolo”, è diventato quasi un “must” tra gli studenti universitari più meritevoli.
Racconta Giovanna Graziani su un sito internet interamente dedicato al progetto Erasmus che lei è stata una delle prime studentesse italiane a partire per un’esperienza di studio in un paese straniero: “Era il 1987, studiavo Lingue all’università di Pisa e per un anno sono stata all’università di Tübingen, in Germania. L’accordo prevedeva la frequenza di un determinato numero di seminari e il superamento dei relativi esami, che poi sarebbero stati riconosciuti dal Consiglio di facoltà italiano. Quell’anno ha segnato la mia vita, e ne vivo ancora un ricordo fortissimo, continuo. Quando sono partita avevo più o meno in testa quello che tutti i ragazzi e le ragazze di vent’anni si prefiggono: imparare la lingua, conoscere nuova gente, nuovi ambienti e divertirsi il più possibile. Il tutto condito da una bella dose di paura per il mondo ‘straniero’ che ci aspetta e che ci metterà alla prova. E poi – si legge nella sua lunga lettera – la realtà, le difficoltà di ambientamento, le prime lezioni incomprensibili”.
“Io – racconta – vivevo in un villaggio studentesco, e dovevo condividere la cucina con due tedeschi (una dell’Est, che allora era ancora Ddr), due americani, una vietnamita, un peruviano e un colombiano. E ad altri piani c’erano turchi, e addirittura un israeliano e un palestinese insieme. Dopo un anno all’estero si torna con dei legami più o meno forti, ma soprattutto con la sensazione che di quel paese straniero abbiamo fatto parte anche noi. Adesso sono una ‘brava impiegata’, sposata con due bambine. Ma quell’anno in Germania resta una parte di me”.
Partire di punto in bianco, andare in una città a migliaia di chilometri di distanza lasciando genitori, amici e la vita tranquilla non è cosa semplice, racconta Giulia, studentessa romana che sta studiando all’università di Friburgo, in Germania: “Sono partita all’inizio di settembre ed ero molto contenta, desideravo questo viaggio da anni. Andare via significava mettermi alla prova e vedere come avrei reagito in una situazione totalmente diversa dal solito. Da studentessa di lingue, la prima cosa che ho pensato è stata quella di eliminare qualsiasi contatto con la lingua italiana. La Albert-Ludwigs-Universität di Friburgo è molto grande, ma purtroppo s’incontrano moltissimi ragazzi provenienti dall’Italia. Così innanzitutto mi sono cercata un appartamento con una ragazza tedesca, in modo da essere costretta a parlare tedesco in ogni situazione, e poi ho cercato di inserirmi in diversi corsi, da quello teatrale al coro dell’università a quello di balli latino-americani”.
“Riuscire a frequentare tutte le lezioni – continua – è molto difficile, soprattutto perché il monte ore di lezione dei corsi tedeschi è inferiore a quello dei corsi italiani, e così noi studenti stranieri siamo spesso costretti a salti mortali pur di vederci convalidati gli esami al ritorno nelle nostre città. L’esperienza però è bellissima, sto facendo tante amicizie e soprattutto credo di aver assunto una padronanza della lingua che non avrei mai potuto avere studiando solamente in Italia. Le difficoltà – aggiunge – non mancano: io, per esempio, ho avuto un problema di salute e sono dovuta ricorrere a uno specialista. Era uno dei primi giorni, e mi sono trovata a dover parlare di malattie e termini medici in una lingua straniera”.
Di storie di ragazzi Erasmus ce ne sono tantissime: da quella di Line, una ragazza olandese che ha studiato per un anno all’università di Valladolid, in Spagna, e che ha fondato, insieme a coetanei di altri paesi, un gruppo jazz che ora è diventato famoso a quella di Gianna, 24 anni e laureata in Scienze internazionali e diplomatiche che ha fatto l’Erasmus a Bruxelles e dopo pochi mesi è tornata nella capitale belga per uno stage all’Unione Europea, il sogno di tanti suoi colleghi. Ci sono poi le storie di Lucia, che dopo un periodo di studio in Svezia si è trasferita lì con un contratto a tempo indeterminato in una società informatica e quella di Michele, che dopo l’Erasmus a Berlino ha fatto una tesi di laurea proprio sulla capitale tedesca ed è rimasto a lavorare lì come guida turistica.
Federica, 21 anni di Gaeta e studentessa di Scienze Politiche a Siena, ha invece avuto un’esperienza molto particolare: “Ho fatto l’Erasmus a Strasburgo, all’Institut d’Etudes Politiques nel 2000. Era un anno molto particolare, l’anno della Conferenza intergovernativa di Nizza, che avrebbe portato al trattato di Nizza in vista dell’allargamento ad est dell’Unione del 2004. Durante la mia permanenza, un po’ come tutti, sono andata a ‘bussare’ a tante porte per cercare stage e esperienze lavorative. Alle tante mi ha risposto l’assistente di Giorgio Napolitano, allora presidente della Commissione Affari Costituzionali del Parlamento Europeo, che mi ha proposto uno stage presso la segreteria della Commissione. Chi l’avrebbe detto – continua – che avrei lavorato per il futuro presidente della Repubblica!”.
I paesi che vanno nella maggiore sono quelli più vicini a noi: Spagna, Francia, Germania, Inghilterra. Ma c’è anche chi ha scelto di andare più lontano. È il caso di Silvia, studentessa di Economia e commercio all’università di Perugia, che ha vissuto cinque mesi a Czestochowa, in Polonia: “Volevo fare un’esperienza diversa – racconta – e ho scelto di andare a studiare per alcuni mesi in un paese dell’Est europeo. Sono capitata in una città non molto grande, ed eravamo in tutto in dieci a fare un’esperienza del genere, per questo ho vissuto sempre insieme ai ragazzi polacchi. All’inizio – continua – ho avuto qualche problema, soprattutto con la lingua: l’inglese non lo sanno in molti, e per necessità ho dovuto imparare a parlare qualche parole di polacco. E poi faceva molto freddo, mi chiedevo continuamente dove fossi capitata. Dopo poco, invece, ho conosciuto tante persone simpatiche, e alla fine non volevo più andar via”.
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