Domenica, come tutti sanno, si voterà per scegliere il nuovo leader del Partito Democratico. E io, pur avendo sostenuto il partito – almeno durante l’era Veltroni – ho deciso di non andare a votare.
Non vado a votare, pur sapendo che questa scelta (non la mia, intendiamoci, ma quella che – immagino – faranno in tanti per protesta) farà male al partito, e lo esporrà sicuramente a ulteriori schernimenti da parte della maggioranza e delle altre forze d’opposizione.
Ma come si fa, mi chiedo (e credo che se lo chiederanno in tanti) a votare per un leader che, in ogni caso, dovrà tenere insieme un gruppo troppo eterogeneo di esponenti che non riescono a eliminare i propri tornaconti personali pur di emergere all’interno del partito? Come si fa a votare un movimento che non riesce ad avere una voce unica e che si divide, al suo interno, invece di essere compatto contro un governo che sta distruggendo l’Italia?
E ancora: come si fa a votare un partito che grazie alle assenze – ingiustificate? Sicuramente ingiustificabili! – dei propri rappresentanti in Parlamento non evita al governo di approvare provvedimenti molto discutibili? E un partito che sta facendo troppo poco per essere “diverso” dagli altri, come invece aveva promesso durante la fase costituente?
Molto belli, per carità, gli slogan dei tre candidati leader: “Un senso a questa storia” (Bersani), “Adesso decidi tu” (Franceschini), “Vivi il Pd, cambia l’Italia” (Marino). Per questa volta passo, nessuno mi ha convinto e non sono contento del lavoro svolto fino ad ora.
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