Abbiamo visitato lo stabilimento di Vinadio, in Piemonte al confine con la Francia, che rappresenta un’eccellenza di tecnologia a livello mondiale in grado di produrre 3,5 miliardi di bottiglie l’anno e, grazie a robot tuttofare, ci spiegano, di “portare in poche ore l’acqua dalla sorgente alla tavola degli italiani”
Incastonato nella Valle Stura, nel cuore delle Alpi Marittime, a un’ora e mezza di auto da Torino e sulla strada che da Cuneo porta in Francia, c’è lo stabilimento di una delle acque minerali più diffuse in Italia: quello dell’Acqua Sant’Anna di Vinadio. Uno stabilimento che abbiamo visitato con grande interesse per la nostra rubrica Now perché nonostante tratti la materia forse più antica e più pura che ci sia – l’acqua – è stato modernizzato negli anni fino a diventare un’eccellenza a livello mondiale per i suoi processi completamente automatizzati e robotizzati, dall’imbottigliamento al confezionamento fino alla logistica interna. L’industria dell’acqua minerale, ci spiegano, è un’industria unica, in cui la tecnologia che viene utilizzata non serve a trasformare la materia prima ma a preservarla in modo tale che l’acqua che arriva al consumatore sia la stessa identica acqua che sgorga dalla sorgente. Uno stabilimento modernissimo, automatizzato, sicuro e anche ecologico, con numerosi ammodernamenti che si sono succeduti nel corso degli anni per una delle acque naturali più diffuse sulle nostre tavole e un fatturato triplicato negli ultimi anni, arrivato nel 2019 a 320 milioni di euro.
La linea di imbottigliamento
La prima domanda che ci siamo fatti è: come fa l’acqua, che sgorga quasi a duemila metri d’altezza, ad arrivare pura e incontaminata fino allo stabilimento? Dalla sorgente – che è posta in un luogo difficilmente raggiungibile dall’uomo e dotata di moderni sistemi di sicurezza – l’acqua attraversa 600 chilometri di tubazioni in acciaio Inox e arriva a valle dove viene raccolta in grandi serbatoi, ognuno dalla capacità di un milione di litri. Ma non resta ferma, viene imbottigliata praticamente subito grazie a un lavoro a ciclo continuo. Un grande macchinario compie la maggior parte delle operazioni: prende le bottiglie (che per risparmiare spazio arrivano in stabilimento sotto forma di “preforma” – assomigliano alle provette usate in chimica), le scalda ad altissime temperature, le allarga e dà loro la forma della bottiglia tradizionale. La bottiglia, così, in pochissimi secondi va al passaggio successivo: viene marchiata con il numero del lotto, viene riempita in pochi istanti grazie a una macchina riempitrice con ben 160 rubinetti e viene subito tappata. Un altro macchinario effettua tutti i più importanti controlli qualità: controlla il livello dell’acqua, che il tappo sia ben chiuso, che l’etichetta sia stata applicata correttamente. Dopodiché le bottiglie vanno a finire su nastri di accumulo e pronte per l’impacchettamento. Il sistema è in grado di produrre 54mila bottiglie da un litro e mezzo ogni ora, addirittura per quelle da mezzo litro si passa a 81mila bottigliette l’ora (parliamo di una delle linee più veloci al mondo) per un totale di 3,5 miliardi di bottiglie l’anno.
L’impacchettamento e i robot antropomorfi
L’altra fase molto interessante da osservare è quella successiva, quella dell’impacchettamento e della creazione dei pallet, che non sono altro che quelle pedane di legno su cui vengono poste le merci pronte per il trasporto e che vengono poi facilmente movimentati da nastri e carrelli. Anche questa fase è totalmente automatizzata ed è gestita da robot antropomorfi velocissimi, che a causa del loro ingombro, della loro forza e dei loro movimenti sono chiusi in grandi “gabbie” inaccessibili all’uomo. Questi robot hanno delle forti braccia e anche una sorta di mani in grado di sollevare le bottiglie, assemblarle, porle sul bancale, stratificarle, sistemarle in maniera che non cadano ed applicare la pellicola: tra l’altro questi “robot pallettizzatori” riescono anche a risparmiare notevoli quantità di plastica da imballaggio. L’operazione è svolta in pochi secondi a ciclo continuo. Una volta pronti i pallet, arrivano alla linea di carico che è forse la più interessante, e affascinante, da osservare.
La “danza” dei robot
Tutte le merci dello stabilimento sono movimentate attraverso un sistema di robot a guida laser: si tratta di carrelli che si muovono in maniera totalmente autonoma all’interno di specifiche aree dello stabilimento, e rispondendo agli input di un software centrale gestiscono sia la logistica interna, sia il trasporto dei pallet (fino a tre) fin quasi all’interno dei camion. Per far sì che l’acqua arrivi nel minor tempo possibile al consumatore Acqua Sant’Anna non fa magazzino e spedisce subito quasi il 90% dell’acqua imbottigliata. Il camion arriva, l’ordine parte, immediatamente il robot va sulla linea di carico, preleva il numero esatto di pallet e li lascia davanti al portellone del camion, distinguendo tipologie di acqua, formati e quantità, con le possibilità di errore praticamente ridotte all’osso. Osservare i robot muoversi nello stabilimento è interessantissimo: sono in grado in autonomia di scegliere la strada più veloce per raggiungere un determinato punto, di trovare strade alternative, di evitare che si creino code o traffico e ovviamente, grazie a mille “occhi” installati su ogni robot, sono in grado di rallentare (e fermarsi anche all’ultimo istante) quando vedono passare una persona nel loro raggio d’azione. Ci spiega Marco Balbiano, direttore dei sistemi informativi e dell’innovazione dell’Acqua Sant’Anna, il “direttore d’orchestra” di tutto questo sistema iper-tecnologico, che ci ha fatto da Cicerone durante la nostra visita, che “tutta l’area è mappata in 3D e che i carrelli, per orientarsi, comunicano tramite riflettori-specchi posti sui muri e sul soffitto, con il software che gestisce il traffico e i movimenti, e gli umani che devono solo controllare eventuali anomalie. Siamo partiti nel 2004 con 10 carrelli – ci racconta ancora – ma il grosso dell’investimento c’è stato nel 2016 con la ristrutturazione integrale dello stabilimento e una flotta di 38 carrelli, quest’anno arrivata poi a quota 45, in grado di coprire 1.200 mq di stabilimento e 16 linee produttive”.
L’impegno per l’ambiente
Tutto, all’interno dello stabilimento, è stato sviluppato all’insegna del minore impatto ambientale possibile: i robot sono alimentati da batterie elettriche, i fasciatori recuperano la pellicola e utilizzano meno plastica, il calore dei macchinari viene incanalato per il riscaldamento degli uffici. Infine, Acqua Sant’Anna ha scelto una logistica che sia il più possibile su rotaia; tuttavia per la collocazione geografica dello stabilimento (costruito, tra l’altro, tutto in biodedilizia) la prima parte del viaggio viene fatta necessariamente con dei camion che però, ci spiegano, vengono scelti tra le aziende più “green” che usino carburanti come ad esempio il metano liquido. Un gioiello hi-tech incastonato nel cuore delle Alpi tutto italiano, studiato con attenzione anche da grandi aziende come Heineken o Coca-Cola.
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