Il Gruppo è il secondo produttore al mondo di Probe Card a livello mondiale: si tratta di dispositivi ad alta tecnologia che consentono di testare il funzionamento dei chip durante il processo di costruzione. L’attività continua ad espandersi e il direttore generale lancia un allarme: abbiamo bisogno di dipendenti
In pochi sanno che alle porte di Milano, immerso in una valle verde a Cernusco Lombardone, in provincia di Lecco, c’è un’eccellenza della tecnologia mondiale, un’azienda unica nel suo genere che svolge un lavoro fondamentale per il funzionamento di tutti gli apparecchi tecnologici che utilizziamo ogni giorno: Technoprobe. L’azienda nasce nel 1995 da un’idea del fondatore Giuseppe Crippa, che all’epoca lavorava in STM, e che decide, identificando nel Testing una branca che poteva crescere, di iniziare un’attività a livello famigliare utilizzando gli spazi disponibili in casa come la cantina o la soffitta. Dopo quasi trent’anni l’azienda è quotata in borsa, dà lavoro a 2.200 dipendenti (1.400 solo in Italia) ed è uno dei due riferimenti mondiali per i produttori di chip. Ad oggi, dunque, non c’è una sola azienda che progetta semiconduttori che non si rivolga a Technoprobe per realizzare interfacce per i test.
Cosa fa Technoprobe e che cos’è una Probe Card
Alla base di qualsiasi apparato elettronico vi è il microchip, che è il cuore pulsante: si tratta di micro-componenti elettronici stampati su minuscole placche di silicio che rappresentano dei progetti tecnologici tutti diversi in base al prodotto su cui sono installati. La grande esigenza dei produttori mondiali è sapere se ogni singolo chip una volta stampato sul silicio funzioni correttamente: testare il chip prima che venga posizionato all’interno di un prodotto e sapere se funziona correttamente evita, infatti, un grande risparmio di tempo all’interno delle catene di montaggio. Ogni microchip ha bisogno di un progetto di testing ed è qui che entra in campo Technoprobe, che è una delle due grandi aziende mondiali in grado di testare praticamente ogni chip esistente. I progetti di testing di Technoprobe viaggiano di pari passo con i grandi produttori di microchip, che inviano all’azienda lombarda le specifiche di ogni nuovo prodotto. Sulla base di queste specifiche l’azienda realizza le cosiddette Probe Card, dispositivi ad alta tecnologia che inseriti in particolari macchinari, grazie a degli aghi che vanno a contattare il microchip, sono in grado di controllarne il corretto funzionamento. “Il lavoro che svolgiamo – ci racconta orgoglioso il direttore generale Roberto Crippa, figlio del fondatore – è di importanza fondamentale ed è certamente un asset importante per l’Italia: noi siamo, infatti, un anello indispensabile nella catena di distribuzione: mancando noi mancherebbe il 40-50% della produzione mondiale di elettronica, soprattutto quella ad alto valore aggiunto”.
Il “problema” del lavoro che c’è
Entrando nella sede principale dell’azienda si viene catapultati in un mega-laboratorio, quasi di fantascienza. Oltre alla parte produttiva c’è moltissimo personale dedicato al settore della ricerca e sviluppo e sono moltissime anche le aree “sensibili” chiuse ermeticamente, sia per motivi di sicurezza (si lavora sui chip di prodotti ancora in fase di produzione o non ancora annunciati sul mercato), sia per evitare (come nella cosiddetta “camera bianca”, dove avviene la fase finale di testing delle Probe Card e dove i dipendenti entrano completamente coperti, dalla testa ai piedi) che anche un granello di polvere contamini i progetti. Qui il 44 per cento del personale, ci spiegano, ha meno di trent’anni e il 34 per cento è rappresentato da donne. Technoprobe, che gestisce oltre cento progetti al mese, ha continuo bisogno di personale e cerca “disperatamente” nuove leve da assumere, anche senza particolari competenze di elettronica: “Siamo affamati di tecnici, ingegneri, periti, che assumiamo in tutta Italia – racconta ancora il direttore generale Roberto Crippa – e adesso stiamo per aprire un nuovo design center a Catania perché sono tantissimi i ragazzi preparati e con voglia di fare presenti nel Sud Italia. Il problema della mancanza di personale è per noi drammatico: in Italia – prosegue – non c’è abbastanza personale tecnico disponibile, sia a livello di periti sia a livello di laureati. Di lavoro ce n’è tantissimo ma il percorso deve partire dalle scuole medie, con una formazione da fare sui ragazzi ma anche sulle famiglie: il lavoro tecnico è bello, è di soddisfazione, è pagato bene e permette di fare carriera”.
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