Sta facendo molto discutere la decisione del social network di Zuckerberg di limitare la condivisione di news in risposta alla nuova riforma del governo sul pagamento dei contenuti
Facebook limiterà la visione e la condivisione di notizie locali e internazionali in Australia in risposta alla proposta di legge allo studio nel Paese che punta costringere lo stesso social insieme a Google a pagare per le news. Una proposta che secondo Facebook fraintende i suoi rapporti con gli editori e che sta facendo molto discutere per un comportamento definito da molti “da bulli”. Il rapporto tra i big del web e i media tradizionali è da sempre sotto i riflettori di governi e istituzioni da quando i media hanno cominciato a perdere introiti a favore proprio di siti, social e motori di ricerca. La riforma australiana rappresenta al momento quella più imponente del settore ed è guardata con grande attenzione da tutto il mondo.
Cosa succede in Australia
La decisione di Facebook è la drammatica escalation di una controversia con il governo sul pagamento per i contenuti di cui si parla già da mesi. Questa mattina gli utenti australiani di Facebook si sono svegliati con una bacheca che non conteneva rimandi a siti di notizie, né locali né internazionali come il New York Times, la Bbc, il Wall Street Journal. Il Media Bargaining Code (letteralmente “codice di contrattazione dei media”) è stato ideato dal legislatore australiano per affrontare una non uniformità di potere tra i giganti del web e i media. Le nuove norme prevedono che gli editori dovranno negoziare accordi commerciali individuali o collettivi con Facebook e Google. In caso di mancato accordo un arbitrato stabilirà qual è l’offerta più ragionevole mentre in caso di rottura dell’accordo da parte di Facebook o Google è prevista una multa di 10 milioni di dollari australiani, pari a 6,4 milioni di euro. La legge, unica nel suo genere, chiede anche ai giganti del web di notificare agli editori se gli algoritmi di ricerca vengono cambiati in modo tale da influenzare l’ordine in cui appaiono i contenuti; i social, infine, devono condividere con gli editori l’utilizzo dei dati dei consumatori estratti dai contenuti di notizie sui loro siti. Al momento la legge si applicherà a Facebook e Google anche se il legislatore sta pensando di aggiungere anche altri importanti nomi del web.
Bloccate anche notizie di servizio
Il blocco dei siti di news da parte di Facebook ha però determinato un importante problema: ad essere “spariti” sono stati anche siti ufficiali e pagine Facebook governative relativi a servizi di emergenza, sanità o polizia e utilizzati per dare informazioni sulla pandemia o per allertare la popolazione in caso di fenomeni naturali estremi come incendi, cicloni o mareggiate. Le modifiche apportate da Facebook hanno, tra l’altro, oscurato moltissime pagine che spiegavano come accedere alle vaccinazioni, proprio a tre giorni all’inizio della campagna vaccinale. Secondo uno studio dell’università di Canberra nel 2020 il 21% degli australiani ha utilizzato i social come fonte principale delle notizie, in crescita del 3% rispetto all’anno precedente, mentre il 39% della popolazione usa regolarmente la piattaforma per informarsi. Il ministro delle Finanze ha parlato di misura “brutale e non necessaria”, in grado di danneggiare l’immagine del social in Australia. Il governo dunque non si ferma e anzi resta “risolutamente determinato” ad andare in fondo con la proposta di legge. “Quello che gli eventi di oggi confermano – ha aggiunto il ministro delle Finanze dopo aver avuto una conversazione con l’amministratore delegato di Facebook Mark Zuckerberg – è l’eccessivo dominio di questi colossi nella nostra economia e nel panorama digitale”. Il blocco è stato criticato anche dalla direttrice di Human Rights Watch Australia, Elaine Pearson, che l’ha definition “una svolta preoccupante e pericolosa”.
La risposta di Facebook e la posizione, diversa, di Google
“Le decisioni che abbiamo preso non permettono alle persone di leggere o condividere notizie su siti australiani e internazionali”, ha spiegato un portavoce di Facebook. “Abbiamo preso questa decisione – continua – per rispettare la legge in un momento in cui le norme non sono chiare rispetto alla definizione di notizia”. Facebook ha anche assicurato che le pagine del governo e le pagine con informazioni di servizio non saranno interessate dalle contromisure. La norma allo studio, dicevamo, riguarda anche Google che però a differenza del social di Zuckerberg ha firmato negli ultimi giorni accordi con i tre principali media australiani, accettando di pagare somme definite significative in cambio dei contenuti.
Il caso francese
La polemica tra Facebook e l’Australia arriva poche ore dopo un importante accordo raggiunto proprio su questo tema in Francia che definisce la cornice entro cui il gigante di internet negozierà i singoli accordi con i vari media. Si tratta di fatto del primo accordo del Vecchio Continente per il quale Big G riconoscerà un corrispettivo economico per la lettura e la condivisione di articoli. L’intesa con l’associazione degli editori è arrivata al termine di mesi di trattative in cui Google aveva iniziato a sottoscrivere accordi individuali sul pagamento dei diritti d’autore con singoli giornali quali Le Monde, Liberation, Le Figaro. Secondo la nuova norma francese, dunque, qualunque piattaforma utilizzi estratti provenienti da notizie pubblicate su altri siti può farlo solo dopo un accordo economico con gli editori, in modo tale che i giganti del web corrispondano agli editori un compenso per i contenuti grazie ai quali ottengono traffico. Gli importi da pagare saranno stabiliti sulla base di criteri come il volume giornaliero di copie e il traffico internet mensile.
Il caso spagnolo
Un caso simile a quello australiano si verificò in Spagna nel 2014 quando Google decise di chiudere il suo servizio di aggregazione di notizie Google News in seguito ai cambiamenti della legge spagnola sulla proprietà intellettuale e i diritti d’autore. La legge imponeva agli editori di far pagare Google News anche solo per mostrare piccoli estratti di testo. Google si era difesa spiegando di non inserire pubblicità su quelle pagine, e che quindi sarebbe stato non sostenibile pagare. Una scelta ancora in vigore che ha comportato il crollo in media del 10-15 per cento del traffico degli editori, che in alcuni casi hanno provato a correre ai ripari chiedendo a Google di includere nuovamente i loro articoli su Google News.
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