Il presidente (ora sospeso) Confcommercio indagato per appropriazione indebita, è stato interrogato dai pm romani sui “fondi del presidente”. I rapporti con Ricucci
Billè interrogato per quattro ore
“Esco assolutamente confortato”
di DANIELE SEMERARO
ROMA – Il presidente autosospesosi di Confcommercio, Sergio Billè, è stato interrogato per oltre quattro ore, questa mattina, dai pubblici ministeri romani. Assistito dal suo legale di fiducia, Titta Madia, Billè ha replicato punto per punto ai rilievi avanzati dai magistrati Rodolfo Sabelli e Giuseppe Cascini.
“Sono sereno e tranquillo e pronto a rispondere a qualsiasi domanda”, aveva esordito questa mattina, varcando i cancelli della cittadella giudiziaria di Piazzale Clodio, aggiungendo di sentirsi preoccupato per “questa campagna di stampa”.
L’accusa per Billè è di appropriazione indebita, con riferimento all’uso dei “fondi del presidente”, somme corrispondenti cioè a circa 20 milioni di euro che annualmente la Confcommercio, come hanno contestato i magistrati della Procura di Roma, vengono usati per interventi extra bilancio. Secondo l’accusa, il 75% dei fondi sarebbero stati usati indebitamente da Billè insieme ad altre tredici persone, tra cui alcuni dirigenti della Confcommercio, tutti coinvolti nell’inchiesta. Per la difesa, i “fondi del presidente” sarebbero sarebbero stati, invece, gestiti in perfetta conformità alle delibere emanate dagli organismi di rappresentanza della Confcommercio.
Al centro della vicenda ci sarebbe anche l’anticipo di 39 milioni di euro, che nel dicembre del 2004 Billè versò all’imprenditore Stefano Ricucci, per l’acquisto di un palazzo che doveva essere destinato a nuova sede della Confcommercio. “I 39 milioni versati come anticipo per l’acquisto dell’immobile? – ha detto Billè – Sono affari di Ricucci cosa ne abbia fatto. Per noi quello era un momento finalizzato all’acquisto dell’immobile che poi è stato perfezionato il 19 dicembre”.
Nell’ambito di questa istruttoria, recentemente erano stati disposti sequestri e perquisizioni che hanno portato al recupero di una settantina di milioni di euro e al recupero, nell’abitazione di Billè, di opere d’arte, mobili e altri oggetti di ingente valore. Secondo la difesa, però, le opere d’arte e gli arredi sarebbero tutti stati inventariati e regolarmente catalogati presso la Confcommercio; si trovavano a casa del presidente perché in attesa di venire trasferite nella nuova sede.
“Le risposte date – ha dichiarato dopo il faccia a faccia con gli inquirenti il difensore Titta Madia – sono state assolutamente chiare, e nella massima tranquillità”.
“Avevo chiesto di essere ascoltato e questo è stato possibile oggi – ha dichiarato Billè dopo l’interrogatorio -. Esco assolutamente confortato dal colloquio con i pubblici ministeri. Credo di aver chiarito ogni questione, anche fornendo documentazione che probabilmente i magistrati non avevano. Esco ulteriormente rafforzato dall’aver operato per far crescere Confcommercio e nel rispetto delle delibere e dei poteri che mi erano stati conferiti”. Tra i documenti portati in Procura da Billè ci sarebbe anche la delibera di Confcommercio del 1974, che assegnava pieni poteri al presidente. Una delibera, secondo l’avvocato Madia, “frutto di una scelta politica confermata dagli organi statuari nel 1995”.
Il prossimo appuntamento è fissato per lunedì, quando il tribunale del riesame di Roma dovrà decidere sul ricorso degli avvocati di Billè, che hanno chiesto la revoca del provvedimento di sequestro delle opere d’arte.
(5 gennaio 2006)
(Nella foto: Sergio Billè)
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