Daniele Semeraro

Giornalista

20 cm di cultura

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Boom di visitatori in Islanda, dove è stato aperto un museo interamente dedicato all’organo genitale maschile. Presenti oltre 260 peni di 90 specie diverse. Il reportage del nostro inviato

HUSAVIK, Islanda – Se passate per l’Islanda, allora dovete proprio percorrere i 400 chilometri che distanziano la capitale Reykjavik dalla cittadina di Husavik e visitare il famoso Museo Fallologico islandese. Il “museo del pene”, per gli amici. Si tratta di un museo unico al mondo, all’interno del quale è possibile ammirare da vicino oltre 260 organi genitali maschili di 90 specie, raccolti dal 1974 ad oggi.

Il più grande, quello di un capodoglio, pesa settanta chili ed è lungo più di un metro e 70 centimetri (il sogno di ogni uomo…); il più piccolo, al contrario, è quello di un cricetino, lungo appena due millimetri e visibile solamente attraverso una lente d’ingrandimento. Unica specie mancante, al momento: l’homo sapiens. Ma già quattro uomini, un tedesco, un americano, un islandese e un britannico hanno promesso che, una volta morti, doneranno il proprio “pisello” al museo. Dell’americano è addirittura già possibile ammirare le dimensioni, perché, completamente preso dall’iniziativa, oltre alla promessa della donazione una volta morto, l’uomo ha anche creato un calco (già esposto) che rappresenta fedelmente il proprio membro.

Aperto tra maggio e settembre, il museo è ospitato in un edificio marrone al centro della città. Tra l’altro è impossibile non notarlo, anche perché davanti alla struttura c’è un enorme “obelisco” (se così si può chiamare) a forma di fallo; inoltre, tutti i cartelli stradali che portano al museo sono disegnati, ovviamente, a forma di pene. E se pensate che nessuno visiterebbe mai un museo del genere, vi sbagliate: solo la scorsa stagione ci sono stati oltre seimila visitatori, il 60 per cento dei quali – udite udite – era rappresentato da donne.

I membri in mostra, la maggior parte dei quali sono stati donati da pescatori, cacciatori e biologi, sono conservati o in contenitori di formalina, oppure sono stati imbalsamati e attaccati al muro, con un’atmosfera, racconta chi c’è stato, che oscilla tra il laboratorio scientifico e una stanza dei trofei. Solo un fallo è stato pagato: quello di un elefante (lungo circa un metro) che rappresenta – non ne avevamo dubbi – uno dei pezzi forti della collezione.

“Ho iniziato a raccogliere questi peni 24 anni fa – spiega il fondatore Sigurdur Hjartarson – quando lavoravo come amministratore in una scuola e mi venne regalato l’organo riproduttivo di un toro. All’inizio era solo un hobby, ma sapevo che prima o poi il mio sogno di aprire un museo vero e proprio si sarebbe avverato”.

La struttura ospita anche una piccola “collezione fokloristica” all’interno della quale è possibile ammirare alcune sculture e alcui oggetti “più scherzosi”, anche se, tiene a precisare Hjartarson, non ci sono oggetti volgari né giocattoli sexy. “La mia speranza – conclude il fondatore, che mostra un approccio delicato ma anche sicuro alla materia – è che le persone si accostino con humor ma anche con intelligenza alla collezione, e che lascino il museo un po’ più felici di quando ci sono entrati”.


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