L’articolo pubblicato oggi da “Repubblica” e firmato da Alexander Stille (giornalista e scrittore statunitense, editorialista del New Yorker e del New York Times) spiega molto bene cosa sta succedendo in Italia alla società, alla classe politica e soprattutto al giornalismo. Un giornalismo ormai piegato e servo del potere, che tende a non raccontare qual è la realtà.
Il silenzio di Berlusconi davanti alle dieci domande di Repubblica – così termina l’articolo, se non avrete tempo di leggerlo tutto lo anticipo qui – è dunque possibile solo perché il Cavaliere non ha risposto a tante altre domande e perché il sistema dei media non le ha neppure mai poste.
Perché c’è un’attenzione e una copertura così forte da parte della stampa estera sulla vicenda delle dieci domande di “Repubblica” a cui il presidente Silvio Berlusconi non ha ancora dato risposta? Eppure in molti ambienti italiani, non soltanto quelli del Popolo della Libertà, si dice che si tratta di mero pettegolezzo, di vicende puramente private e quindi senza significato politico. La differenza tra il comportamento della stampa italiana e quella americana nello scandalo Clinton è come la differenza che c´è tra il giorno e la notte.
A mio avviso, il caso Clinton non è stato un momento di gloria per la stampa americana. Ma dietro c’era un principio molto chiaro e molto sano: che il potere dev’essere trasparente, deve rendere conto di se stesso davanti al pubblico, deve rispettare le istituzioni di controllo, come il Congresso e la magistratura. Per di più, c’era il principio fondamentale secondo cui il comportamento di un capo di Stato non è puramente personale: se ha rapporti sentimentali con persone che lavorano dentro il governo, o che aspirano a farlo, diventa un caso squisitamente politico. Ha detto più o meno così, il presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco: «La stoffa umana di un leader, il suo stile e i valori di cui riempie concretamente la sua vita non sono indifferenti. Non possono esserlo. Per questo noi continuiamo a coltivare la richiesta di un presidente che con sobrietà sappia essere specchio, il meno deforme, dell’anima del Paese».
C´è poi una questione di fondo che vale a ogni latitudine: un politico dovrebbe dire la verità. Nel caso italiano Berlusconi ha offerto tante verità diverse che non possono essere tutte attendibili, ovviamente, e dunque vere tutte. Quindi viene naturale chiedersi: che cosa si vuole coprire offrendo tante versioni di comodo, pur tra loro contraddittorie? Uno dei ruoli principali della stampa è la funzione di controllo del potere politico. Thomas Jefferson, il terzo presidente degli Usa, pur essendo stato attaccato duramente dai giornali per fatti personali (il suo chiacchierato rapporto con una sua schiava, rivelatosi recentemente vero grazie agli esami del Dna), ha scritto: «Se dovessi scegliere tra un governo senza giornali o giornali senza un governo, non esiterai un attimo a fare la seconda scelta».
Quando la stampa annusa il cattivo odore che esce da una storia – opacità, poca chiarezza, incongruenze del potere – sa che il suo ruolo è quello di indagare. Quando nota delle evidenti contraddizioni (e quindi bugie) nei racconti dei potenti -Berlusconi che sostiene di aver visto la giovane Noemi due o tre volte e sempre accompagnata dai genitori e lei che rivela che quando Berlusconi ha delle ore libere lo raggiunge a Roma o a Milano – allora il giornalismo capisce istintivamente che è il momento di insistere per arrivare alla verità. Il Financial Times di Londra, certamente non un giornale di sinistra, scrive che “il pericolo di Berlusconi è una spietata demonizzazione dei nemici e un rifiuto di lasciare uno spazio a poteri di controllo”.
In Italia si è dimenticato che all´estero lo strapotere di Berlusconi è letteralmente inconcepibile: che l’uomo più ricco del Paese, proprietario di tre rete televisive nazionali e imputato in vari processi gravi possa guidare insieme il governo e il sistema mediatico pubblico, è qualcosa che stupisce anche l’americano più conservatore. Perché non è una questione di destra e sinistra, ma di potere incontrastato. Questo è il punto. E la stampa internazionale, quando la moglie del premier parla di un uomo di 72 anni che frequenta minorenni sente e capisce che si tratta di una sorta di delirio del potere assoluto. Nel caso di Berlusconi, d’altra parte, i giornali sanno che l’auto-mitologia del potere non si può separare da un’auto-mitologia sessuale. Così come non si può separare il privato dal pubblico nella sua carriera politica. Più volte, e proprio con la stampa estera, Berlusconi ha scelto di parlare del sesso e della sua carriera di playboy. Davanti all’associazione della stampa estera, Berlusconi ha detto che il primo ministro danese Rasmussen era il più bel politico d’Europa e ha detto che sarebbe stato l’uomo giusto per sua moglie. Ha stupito Wall Street parlando delle belle segretarie che lavorano in Italia. Ha detto di avere fatto il playboy con la premier finlandese. Ha parlato delle sue fidanzate francesi, di una fidanzata turca.
Il premier ha invitato i giornali a speculare sui suoi possibili rapporti con le donne candidate quando nel 2008 ha detto: «Portiamo in Parlamento il 30 per cento di donne e si scatena la corsa a dire che sono fidanzate mie e di Gianfranco. Siamo supermen, ma certi traguardi sono impegnativi anche per noi…». L’idea che posti nel Parlamento e nel governo possano essere assegnati a donne con forse hanno avuto un rapporto personale con il presidente del consiglio avrebbe scatenato negli Stati Uniti una campagna di stampa che non si sarebbe fermata finché non fossero giunte risposte convincenti. Non per curiosità morbosa ma per un evidente uso personale del potere politico. Il fatto che in Italia una ragazzina che non ha neppure fatto la maturità possa pensare che, grazie al rapporto con il suo “papi”, le spetti un posto nel parlamento è sintomo di una degenerazione evidente. Poi ci sono state le conversazioni intercettate tra Agostino Saccà, il capo della Rai fiction e Berlusconi, in cui il Cavaliere ha detto testualmente di chiedere favori nella sistemazione di alcune donne sia per “sollevare il morale del capo” sia per aiutarlo a convincere un senatore dell’opposizione a cambiare schieramento politico per fare cadere il governo. Ripeto: per fare cadere il governo. Cosa c’è di personale, di privato, in questa vicenda che configura un abuso di potere? Un uomo politico americano che avesse fatto altrettanto sarebbe finito.
Perché quindi meno chiasso e meno attenzione in Italia? Negli Stati Uniti l’audio della conversazione Berlusconi-Saccà sarebbe stata trasmessa migliaia di volte su tutte le televisioni. In Italia, invece, vorrei sapere se un singolo telegiornale l’abbia trasmesso, anche una sola volta. Non per niente, il governo Berlusconi sta per approvare una legge che renderebbe le intercettazioni di uomini politici (e soprattutto la loro pubblicazione) pressoché impossibili. Quindi dove finisce la sfera privata e comincia quella dell’interesse pubblico? I giornali stranieri cominciano a domandarselo. Berlusconi ha sempre detto che «una cosa, se non è stata in televisione, non esiste». Molte delle cose di cui mi sono occupato in questo articolo non sono state mai nemmeno accennate dalla televisione italiana e spesso nemmeno da buona parte della stampa. Il silenzio di Berlusconi davanti alle dieci domande di Repubblica è dunque possibile solo perché il Cavaliere non ha risposto a tante altre domande e perché il sistema dei media non le ha neppure mai poste.
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