Daniele Semeraro

Giornalista

Che ce ne facciamo di film come questi…


 

..se poi in Italia continua a non cambiare niente, da tanti anni a questa parte?

 

Ci sono voluti trentanni di fanciulle scosciate e giovanotti palestrati, di casalinghe disperate e quiz milionari, di reality irreali, di gossip e volgarità eretti a sistema. Un lavoro lungo e paziente, che alla fine però ha fatto centro: la tv in Italia ha preso il posto della democrazia. E la tesi di Videocracy , il documentario che promette di rendere davvero spe­ciale l’evento programmato per il 3 settembre al Lido dalle due sezioni autonome della Mostra del Cinema, la Settimana Internazionale della Critica (SCI) e le Giornate degli Autori, che hanno scelto di concerto il film, rifiutato dalle sezioni ufficiali. Ottanta minuti di reportage spietato sull’Italia berlusconiana, le sue mutazioni antropologiche e culturali, firmati da Erik Gandini, regista quarantenne originario di Bergamo ma traslocato a 18 anni in Svezia.

«In una videocrazia la chiave del potere è l’immagine – sostiene il cineasta -. In Italia solo un uomo ha dominato le immagini per tre decenni. Prima magnate della tv, poi Presidente, Silvio Berlusconi ha creato un binomio perfetto, caratterizzato da politica e intrattenimento televisivo, influenzando come nessun altro il contenuto della tv commerciale nel Paese. I suoi canali televisivi, noti per l’eccessiva esposizione di ragazze seminude, sono considerati da molti uno specchio dei suoi gusti e della sua personalità».

I recenti fatti di cronaca a luci rosse confermano. In ogni caso Videocracy (prodotto dalla svedese Atmo con la danese Zentropa e poi distribuito dalla Fandango) non passerà indenne sugli schermi del Festival veneziano. «E un film destinato a far discutere», assicura Francesco Di Pace, direttore della SCI, ben contento di essersi assicurato, in sintonia con il Festival di Toronto che lo proietterà dopo l’anteprima mondiale veneziana, la patata bollente che nessuno voleva. «Era stato proposto prima a Orizzonti, una delle sezioni ufficiali della Mo­stra, ma è stato scartato da Marco Müller e i suoi selezionatori – racconta Di Pace -. Così l’abbiamo acchiappato noi. Comunque la si pensi è un film che andava mostrato. Perché denuncia il potere che la tv ha sulla nostra società e sulla nostra cultura. Quel che produce nella gente, come ne condiziona i comportamenti». Un panorama inedito, per molti inspiegabile, che Gandini osserva con lo sguardo lontano ma partecipe dell’italiano all’estero. «Non è un film su Berlusconi ma sull’Italia berlusconiana », ribadisce lui, già autore di un documentario su Guantanamo.

In Videocracy il punto di osservazione è un altro: il backstage di un’Italia ossessionata dall’esibi­zionismo sessuale e senza più freni morali. L’Italia dei Lele Mora, dei Briatore, Corona, Ventura. Che compaiono in scena insieme con i reduci dei Grandi Fratelli, le veline e i tronisti, la tribù Costa Smeralda, smaniosa solo di apparire, pronta a tutto per riuscirci. La tesi sostenuta da Moretti ne “Il Caimano”: «Berlusconi ha già vinto, ci ha cambiato la testa trentanni fa».


Una risposta a “Che ce ne facciamo di film come questi…”

  1. […] ce ne facciamo di film come questi, (vedi Videocracy, per citare un’altra pellicola di questo periodo) se poi l’opinione pubblica non cambia […]

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